Le lingue rotolano

Una concezione molto diffusa è che le lingue siano una delle cose più stabili che ci siano. Qui si parla così, era così in passato e sarà così in futuro. Per sempre, immutabilmente. In realtà non è per nulla così.

A noi sembra che le lingue siano enormi massi inamovibili, qualcosa di fisso nel tempo, di immutabile, di inamovibile. La nostra esperienza ci porta a pensare in questo modo, che le lingue siano massi enormi. In realtà le lingue sono sassolini. Sassolini che rotolano, portati dai fiumi, alla mercè della corrente, mai fermi. Da una generazione all’altra, nel giro quindi di pochi anni, le cose possono cambiare radicalmente: lingue che sembravano massi di diverse tonnellate si rivelano essere sassolini di pochi grammi trascinati via. Il mondo è pieno di esempi.

Taiwan per la gran parte della sua storia ha avuto la ventina di lingue indigene austronesiane, l’hokkien e l’hakka. poi nel 1895 sono arrivati i giapponesi e il giapponese è diventato la lingua dell’amministrazione, della scuola e della cultura; per esempio, uno dei capolavori della letteratura taiwanese è stato scritto originariamente in giapponese. Poi nel 1945 è arrivata la dittatura del KMT che ha imposto il cinese mandarino, una lingua sconosciuta ai taiwanesi. Sono iniziati decenni di punizioni, anche corporali, a scuola se si parlavano altre lingue rispetto al mandarino, soprattutto l’odiato giapponese. La repressione linguistica ha causato l’arretramento importante di tutte le altre lingue. Nel giro di poche generazioni, la lingua madre della maggioranza dei taiwanesi è diventata il mandarino, una lingua che fino al 1945 era assente dall’isola. Da quando Taiwan è una democrazia la libertà linguistica è nettamente migliorata, ma resta il fatto che la repressione ha fatto danni enormi.

Venendo più vicini a noi, anche in Italia si è avuta una repressione linguistica eccezionale. Tutte le lingue regionali parlate nella penisola, molte delle quali con un’importante tradizione letteraria, sono state etichettate come dialetti, schernite e combattute, soprattutto durante il periodo fascista. Chiamare dialetto dell’italiano una lingua più antica dello stesso italiano è una di quelle cose che farebbe ridere se non avesse avuto conseguenze reali. Si ha un’idea abbastanza chiara del governo di un posto dal modo in cui tratta le lingue. Gli stati-nazione più hanno la coda di paglia, più sono insicuri e più perseguitano le lingue minoritarie. Popolazioni che perdono la loro lingua madre perché nella capitale ritengono che sia inaccettabile che ci sia gente all’interno dei confini dello stato che parli una lingua diversa. Generazioni che non riescono più a parlarsi tra loro perché il monolinguismo è il dogma ottocentesco impossibile da abbattere.

Qui in Svizzera la situazione è diversa. Nessuno qui ha mai avuto la pazza idea di uniformare il linguaggio. Essendo il Paese una Confederazione, ogni Cantone (stato) da sempre ha badato al suo, anche riguardo la lingua. Ci capiamo tra di noi? In qualche modo ci si capisce sempre, senza drammi, senza patemi d’animo. L’idea di parlare una sola lingua è considerata così strampalata che ci hanno fatto una bella commedia di successo.

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